Saturday, January 06, 2001

DIMENTICATE I BANNER, E' L'ORA DEL PERMISSION MARKETING (rep.it, 010105)

E' la domanda che fa la differenza: se l'azienda che vuole farsi pubblicità spedisce e-mail promozionali senza chiedere prima al destinatario se è interessato a riceverle, allora è "spamming"; se invece lui avrà prestato il suo consenso a un certo tipo di corrispondenza è "permission marketing", una delle ultime mode su come fare affari sul Web.

Un numero sempre più grande di siti lo ha adottato. Si apre una nuova casella di posta elettronica e ci chiedono il permesso di spedirci a casa rivistine varie sui più diversi argomenti (sport, tecnologia, gossip e così via: fare la crocetta sulla casella che interessa). Ci si abbona a un giornale su temi economici e ci propogono di tenerci al corrente, di lì in poi, su tutte le iniziative speciali che il gruppo che la edita metterà in cantiere. E gli esempi potrebbero proseguire a lungo.

Sbagliato lamentarsi che si riceve un sacco di posta elettronica inutile: l'avete chiesto voi - magari sovrappensiero - che vi fosse inviata, avete dato il permesso e sinché non lo revocate (disabbonandovi) ogni recriminazione è fuori luogo. C'è piuttosto da prendere familiarità con il sistema, perché i pubblicitari sembrano avere intenzione di praticarlo sempre più. L'efficacia dei banner tradizionali, infatti, si è rivelata assai deludente: in media solo l'1 per cento dei visitatori ci clicca sopra (il cosiddetto click through). Mentre i suggerimenti pubblicitari contenuti nelle mail sono seguiti (almeno sino al sito aziendale dove li si vuole condurre) dal 10-15 per cento dei destinatari. E le spedizioni elettroniche funzionano anche assai meglio delle loro omologhe cartacee, ovvero la posta monnezza che intasa le caselle delle nostre case: i tassi di risposta, le persone che si attivano in qualche modo dopo aver ricevuto il messaggio, passano da una media del 2 per cento della carta al 5-10 per cento, con punte del 30, dell'e-mail.

Combinando questi dati con le previsioni di crescita nella diffusione della posta elettronica (il 35 per cento del tempo trascorso su Internet è assorbito scambiando e-mail e, entro il 2001, negli Stati Uniti il 50 per cento dei consumatori le userà assiduamente è la stima di Forrester Research) molte compagnie come MessageMedia, YesMail, Exactis.com, Media Sinergy e Commtouch si stanno specializzando sulla gestione di vere e proprie campagne promozionali basate sull'e-mail.

Oltre a essere più persuasive di quelle tradizionali, costano anche assai meno: raggiungere un cliente costa oggi 1 dollaro e 40 cent di media contro i 12,50 dollari che ci volevano per stampa, affrancatura e altre incombenze. Tutto congiura quindi a un'adozione sempre più massiccia da parte di molte aziende in cerca di nuovi clienti. Con l'iniziale avvertenza: "Se fatto correttamente l'e-mail marketing potrebbe essere la killer application della Rete - è pronto a scommettere un recente studio di Idt Strategies - ma se fatto male potrebbe rivelarsi un boomerang disastroso". A rendere il tutto ancor più delicato, in Germania lo spam è già stato messo fuori legge, in Francia dovrebbe esserlo presto e la tolleranza nei confronti della fastidiosissima pratica dimuisce, dappertutto, giorno dopo giorno. Da un parte il paradiso del marketing, quindi, dall'altra l'inferno degli scocciatori e il confine è una striscia sottile, labile e sdrucciolosa.

(5 gennaio 2001)
CONTRO LE BUFALE, IL BOOM DELLE "WEB CLIPPING" (rep.it, 010104)

ROMA - Nell'"economia delle voci" può capitare che una notizia, vera o falsa, decida in un giorno le sorti di un'azienda. Un analista dice che i conti di Amazon non gli sembrano poi così tanto in salute, e le azioni vanno giù in poche ore del 19 per cento, con centinaia di miliardi bruciati. Alan Greenspan abbassa i tassi di interesse e il Nasdaq impenna, all'improvviso, del 14 per cento. Si diffonde in Rete un finto comunicato della Emulex, che racconta di difficoltà finanziarie impreviste per la produttrice di apparecchiature per fibra ottica e la compagnia polverizza, istantaneamente, il 62 per cento del suo valore. La terza notizia è falsa (e le smentite rimedieranno presto al danno) ma le reazioni emotive del mercato sono identiche a quelle che avrebbe avuto se fosse stata vera. Nella iper-volatile New Economy - davvero - ne uccide più la lingua che la spada ed è una necessità sempre più urgente, per le compagnie, apprestare degli strumenti di difesa nei confronti di potenziali campagne di disinformazione.

Si moltiplicano quindi i servizi di monitoraggio delle informazioni che, in Rete, si diffondono riguardo alle aziende. In America la scelta è già ampia: Cyber Scan, CyberAlert, CyberClipping, WebClipping.com ed eWatch, setacciano il Web, i gruppi di discussione, le riviste online e i siti amatoriali controllando che non mettano in giro notizie tendenziose sui loro clienti. E' un po' come i tradizionali servizi di rassegna stampa:
se siete la Fiat, una volta abbonati, periodicamente vi arriveranno tutti i ritagli degli articoli che parlano di voi, con la parola chiave (in questo caso Fiat, appunto) sottolineata. Ma il compito è più complicato in Rete: le fonti sono più ampie e i motori di ricerca non sondano che una parte minuscola dell'orbe telematico. Non solo: le "bufale" sono più facili da confezionare sul Web e si diffondono rapidissimamente, acquisendo verosimiglianza di passaggio in passaggio.

Le vari agenzie di "web clipping" (così si chiamano) funzionano in maniera simile, con alcune distinzioni sulla fase finale del servizio. NetCurrents, ad esempio, non si limita a segnalare che da qualche parte si parla del proprio cliente ma propone anche contromosse per neutralizzare il potenziale effetto nocivo dei "rumors". I suoi analisti verificano la fondatezza delle notizie e, se ne riscontrano la falsità, intervengono per cercare di rimuoverle. La maggior parte delle altre, invece, devolvono ai clienti stessi la responsabilità di valutare l'impatto delle voci sul proprio conto e approntare le relative contromosse. eWatch, invece, gira i casi sospetti all'Internet Crimes Group, una società specializzata sulle investigazioni online.

Sull'efficacia dei vari sistemi non c'è uniformità di vedute. Solo chi si pone obiettivi ragionevoli - recita il pensiero comune - ottiene risultati sensati. "Nessuno può pretendere di monitorare tutto - dichiara Eric Ward, fondatore di NetPost, una compagnia del settore - perché si tratterebbe di controllare miliardi di aree, alcune delle quali quasi impossibili da perlustrare". I sistemi automatizzati sono, evidentemente, capaci di rilevare quando appare la parola chiave ma non di capire il contesto - positivo o negativo - in cui questa è inserita. Le persone che lavorano nelle agenzie, invece, sono in grado di discernere la differenza e, per questo, i servizi costano (a differenza di funzioni analoghe dei motori di ricerca, come il News Tracker di Excite o il NewsBot di Wired). NetCurrents fa pagare i propri clienti dai 1500 ai 7500 dollari al mese per servizi che vanno dalla semplice notifica che il proprio nome appare in qualche sperduta provincia del Web alla messa in opera di una vera e propria strategia difensiva. Assai più economico CyberAlert chiede 395 dollari per ogni parola chiave immessa, indipendentemente dalle volte che essa compare.

Qualche critico ha già storto la bocca: "Servizi del genere possono limitare la libertà di espressione dei cittadini" si è detto, pensando soprattutto a quei dipendenti risentiti che parlano male della propria azienda nelle chat o nei newsgroup. Preoccupazione precoce, ma se dovete parlare male del vostro amministratore delegato è meglio farlo a voce, senza avere nessuno dietro le spalle.

(4 gennaio 2001)
ARRIVA LA RSI GENERATION, TUTTA PC E CERVICALE (rep.it, 010104)

Dopo la X, la Y e la Mtv, è il momento della Rsi Generation. Segni caratteristici: già sotto i 20 anni, cervicale dolente e polsi molli, a causa delle Repetitive Stress Injury, quegli eventi stressanti ripetitivi cui è stata sottoposta da un uso continuo ed ergonomicamente scoretto del computer.

Non esiste ancora un vero e proprio censimento di chi ne soffre, ma si tratta di un numero alto e che minaccia pericolose moltiplicazioni. I bambini che vanno oggi alle elementari e alle medie sono i primi a essere cresciuti a pane e pc. "Sappiamo che molti adulti che hanno iniziato a lavorare al computer negli ultimi venti anni hanno riportato danni seri - ha spiegato Cheryl Bennett, una specialista di ergonomia al Lawrence Livermore National Laboratories a Berkeley, in California - ma non siamo in grado di prevedere cosa succederà ai bambini tra vent'anni, dal momento che è la prima volta che la specie umana subisce questo test. I corpi giovani sono più flessibili e tolleranti, ma ciò potrebbe portare comunque a gravi disabilità?".

Quello che è certo è che l'educazione all'ergonomia, ovvero la scienza che studia il rapporto tra uomo, macchina e ambiente di lavoro (o di studio), è scarsa dappertutto e il problema è vissuto ancora come un rischio marginale da parte di grandi e piccini. I primi dati, pur frammentari, restituiscono tuttavia il quadro di un fenomeno preoccupante. A un meeting della International Ergonomics Association, l'estate scorsa a San Diego, il professor Leo Straker dell'università di Perth, in Australia, ha presentato i risultati di una ricerca condotta su 1404 studenti in 23 classi tra Canada e Australia. Tutte le postazioni informatiche scolastiche scrutinate lasciavano molto a desiderare quanto a standard ergonomici e il 60% di 314 studenti (di età compresa tra 10 e 17 anni) di tre scuole australiane lamentavano dolori al collo o alla colonna vertebrale inferiore. Erano tutti ragazzi che utilizzavano pc portatili almeno 17 ore alla settimana, neppure tanto se confrontato con un qualsiasi impiego professionale.

Idem in America. Il dottor Alan Hedge, docente di design e analisi ambientale alla Cornell University, nello stato di New York, ha condotto numerosi studi: in varie scuole di Detroit prese in esame "nessuno dei bambini aveva una posizione corretta e il 40% ne aveva invece una altamente a a rischio". In assenza di politiche pubbliche centralizzate, gli esperti allestiscono una controffensiva in proprio, fatta di informazione e sensibilizzazione. Così, nel suo sito, il dottor Hedge dà consigli e illustra comportamenti da evitare.

Conscio però di combattere una battaglia solitaria, dal momento che nelle priorità statali - pur comprensibilmente - arriva più in alto quella di fornire le scuole di pc piuttosto che preoccuparsi che le scrivanie che dovranno ospitarli siano dell'altezza giusta o che l'inclinazione dello schermo sia quella ottimale. "La scelta tra un tetto nuovo e un banco anatomico - dichiara Willie Cade, presidente dell'organizzazione non profit Computers for Schools - è una non scelta. E' una questione di budget che fa sì che l'ergonomia arrivi buon ultima tra le preoccupazioni degli amministratori scolastici".

Prima diamo da mangiare agli affamati informatici - sembra potersi dire - poi insegniamo loro qual è la dieta bilanciata migliore. Con l'avvertenza che, man mano che il cibo (leggi: pc) sarà a disposizione di tutti, le istruzioni alimentari (leggi: ergonomiche) saranno indispensabile per non allevare una generazione di obesi (leggi: diciottenni storpiati dalla sindrome del tunnel carpale).

(4 gennaio 2001)