LA RIVOLUZIONE BLUETOOTH ALLA PROVA DEL FUOCO 20001 (rep.it, 001221)
ROMA - Dopo una schermaglia lunga due anni di annunci e controannunci, si capirà finalmente se "Dente blu" comincerà a mordere sul serio o se andrà archiviato nella mesta categoria delle "molto promettenti tecnologie". "The Economist" dedica al sistema di comunicazione senza fili tra apparecchi elettronici la copertina del suo speciale hi-tech di fine anno: "Vale la pena aspettare Bluetooth?" titola il settimanale, mettendolo in testa alle invenzioni che potrebbero "minacciare il vecchio ordine industriale".
E per la prima volta, questo Natale, anche i consumatori italici hanno l'opportunità di imbattersi in prodotti che lo contengono: vari modelli di telefonini Alcatel, per esempio, riportano nelle loro specifiche tecniche, al posto degli infrarossi, la sigla "BT" come sistema di comunicazione con Pc, agende elettroniche,stampanti e quant'altro. E anche Nokia ha messo in vendita una scheda Bluetooth per far comunicare,senza fili, un portatile con innumerevoli altre periferiche . Seguirà un auricolare senza fili, nuovi modelli Ericsson e molto altro ancora. Vale la pena, quindi, fare la conoscenza del nuovo standard, anche per valutare se valga o meno la pena pagare l'eventuale differenza di prezzo che averlo comporta.
L'etimologia, per cominciare. Bluetooth - Dente Blu, appunto - era il cognome di Harald, re vikingo del X secolo, artefice dell'unificazione geografica tra Danimarca e Norvegia. E proprio per la vocazione a unire mondi diversi il nome è stato usato per descrivere il sistema di frequenze radio lanciato, nel '98, da un consorzio capitanato da Ericsson di cui fanno parte Ibm, Intel, Nokia e Toshiba.
Il problema è noto: la quantità e la diversità degli apparecchi elettronico-informatici ha fatto crescere a dismisura i cavi e i problemi di compatibilità per far "comunicare" l'uno con l'altro. Un primo abbozzo di soluzione sembrava arrivare dagli infrarossi che abolivano i cavi, pur con varie limitazioni: la velocità di trasmissione dei dati era bassa, i due apparecchi non dovevano essere più lontani di pochi centimetri e niente doveva ostruire il persorso tra le due celle comunicanti.
A ovviare a tanta laboriosità doveva pensarci Bluetooth. Intanto la sua velocità di trasmissione è altissima (sino a 1 Megabyte al secondo) e, soprattutto, la distanza alla quale la comunicazione può avvenire è molto più grande, comprendendo un raggio di una decina di metri. Non solo: gli apparecchi dotati di chip Bluetooth formano tra di loro, spontaneamente, delle piccole reti locali. Non c'è bisogno infatti di configurazioni particolari e di avviare la connessione: un apparecchio Bluetooth riconoscerà, automaticamente, quando altri suoi "simili" saranno nei paraggi senza dover fare alcunché. Esempio: una persona con un'agenda elettronica dotata del "dente" riceverà informazioni dagli altri con apparecchi analoghi che gli passeranno vicini oltre che quelle emesse da particolari chioschi (con gli orari dei treni nelle stazioni, con le notizie di attualità, con le quotazioni di Borsa e così via). E ancora, con apparecchi abilitati, si potrà mandare un documento in stampa da una stanza all'altra (senza cavi) o trasferire le foto dalla macchina digitale al Pc o molto altro ancora.
Chi utilizza macchine diverse (Windows e Mac, per dire) o ha provato a collegare apparecchi digitali di marche diverse conosce la frustrazione dell'incomunicabilità: è per questo che la nascita di Bluetooth fu salutata come "rivoluzionaria". Enormi aspettative che, di ritardo in ritardo, hanno provocato a loro volta crescenti delusioni. Uno dei responsabili principali è noto: il costo della materia prima. I chip BT sono ancora troppo cari (25-50 dollari dollari l'uno secondo l'Economist, 15 di media per uno studio Merrill Lynch contro i 5-2 dollari che si dovrebbero raggiungere entro il 2004) per diventare prodotto di massa. E poi c'è la vecchia questione dell'uovo e della gallina: perché pagare un extra per una stampante abilitata BT quando non ci sono laptop da cui inviare, via BT, delle pagine da stampare?
Al di là dei telefonini, altri marchingegni atterreranno quest'anno sugli scaffali dei negozi. E nessuno se la sente di ridimensionare la portata di un sistema che potrebbe costituire l'esperanto dell'elettronica di consumo e realizzare la promessa di un'Internet veramente mobile. Solo, chiosa realistico lo speciale britannico, "la rivoluzione wireless sta arrivando, ma non così velocemente come i rivoluzionari vorrebbero".
(21 dicembre 2000)
ROMA - Dopo una schermaglia lunga due anni di annunci e controannunci, si capirà finalmente se "Dente blu" comincerà a mordere sul serio o se andrà archiviato nella mesta categoria delle "molto promettenti tecnologie". "The Economist" dedica al sistema di comunicazione senza fili tra apparecchi elettronici la copertina del suo speciale hi-tech di fine anno: "Vale la pena aspettare Bluetooth?" titola il settimanale, mettendolo in testa alle invenzioni che potrebbero "minacciare il vecchio ordine industriale".
E per la prima volta, questo Natale, anche i consumatori italici hanno l'opportunità di imbattersi in prodotti che lo contengono: vari modelli di telefonini Alcatel, per esempio, riportano nelle loro specifiche tecniche, al posto degli infrarossi, la sigla "BT" come sistema di comunicazione con Pc, agende elettroniche,stampanti e quant'altro. E anche Nokia ha messo in vendita una scheda Bluetooth per far comunicare,senza fili, un portatile con innumerevoli altre periferiche . Seguirà un auricolare senza fili, nuovi modelli Ericsson e molto altro ancora. Vale la pena, quindi, fare la conoscenza del nuovo standard, anche per valutare se valga o meno la pena pagare l'eventuale differenza di prezzo che averlo comporta.
L'etimologia, per cominciare. Bluetooth - Dente Blu, appunto - era il cognome di Harald, re vikingo del X secolo, artefice dell'unificazione geografica tra Danimarca e Norvegia. E proprio per la vocazione a unire mondi diversi il nome è stato usato per descrivere il sistema di frequenze radio lanciato, nel '98, da un consorzio capitanato da Ericsson di cui fanno parte Ibm, Intel, Nokia e Toshiba.
Il problema è noto: la quantità e la diversità degli apparecchi elettronico-informatici ha fatto crescere a dismisura i cavi e i problemi di compatibilità per far "comunicare" l'uno con l'altro. Un primo abbozzo di soluzione sembrava arrivare dagli infrarossi che abolivano i cavi, pur con varie limitazioni: la velocità di trasmissione dei dati era bassa, i due apparecchi non dovevano essere più lontani di pochi centimetri e niente doveva ostruire il persorso tra le due celle comunicanti.
A ovviare a tanta laboriosità doveva pensarci Bluetooth. Intanto la sua velocità di trasmissione è altissima (sino a 1 Megabyte al secondo) e, soprattutto, la distanza alla quale la comunicazione può avvenire è molto più grande, comprendendo un raggio di una decina di metri. Non solo: gli apparecchi dotati di chip Bluetooth formano tra di loro, spontaneamente, delle piccole reti locali. Non c'è bisogno infatti di configurazioni particolari e di avviare la connessione: un apparecchio Bluetooth riconoscerà, automaticamente, quando altri suoi "simili" saranno nei paraggi senza dover fare alcunché. Esempio: una persona con un'agenda elettronica dotata del "dente" riceverà informazioni dagli altri con apparecchi analoghi che gli passeranno vicini oltre che quelle emesse da particolari chioschi (con gli orari dei treni nelle stazioni, con le notizie di attualità, con le quotazioni di Borsa e così via). E ancora, con apparecchi abilitati, si potrà mandare un documento in stampa da una stanza all'altra (senza cavi) o trasferire le foto dalla macchina digitale al Pc o molto altro ancora.
Chi utilizza macchine diverse (Windows e Mac, per dire) o ha provato a collegare apparecchi digitali di marche diverse conosce la frustrazione dell'incomunicabilità: è per questo che la nascita di Bluetooth fu salutata come "rivoluzionaria". Enormi aspettative che, di ritardo in ritardo, hanno provocato a loro volta crescenti delusioni. Uno dei responsabili principali è noto: il costo della materia prima. I chip BT sono ancora troppo cari (25-50 dollari dollari l'uno secondo l'Economist, 15 di media per uno studio Merrill Lynch contro i 5-2 dollari che si dovrebbero raggiungere entro il 2004) per diventare prodotto di massa. E poi c'è la vecchia questione dell'uovo e della gallina: perché pagare un extra per una stampante abilitata BT quando non ci sono laptop da cui inviare, via BT, delle pagine da stampare?
Al di là dei telefonini, altri marchingegni atterreranno quest'anno sugli scaffali dei negozi. E nessuno se la sente di ridimensionare la portata di un sistema che potrebbe costituire l'esperanto dell'elettronica di consumo e realizzare la promessa di un'Internet veramente mobile. Solo, chiosa realistico lo speciale britannico, "la rivoluzione wireless sta arrivando, ma non così velocemente come i rivoluzionari vorrebbero".
(21 dicembre 2000)